"Professione Social media strategist: intervista ad Andrea Paoli"

Intervista

Eclettismo. Riteniamo sia questa la definizione migliore per Andrea Paoli social media strategist, che apre la serie d'interviste dedicate al mondo del lavoro e ai lavori emergenti in particolare.


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Francesco Caremani
Nato a Verbania, sul lago Maggiore, il 20 febbraio del 1971, Andrea Paoli ha vissuto a Milano dieci anni lavorando come redattore in una casa editrice, a Pavia da cinque, ma professionalmente gravita ancora sulla capitale economica del Paese.

Sorella segretaria di un'associazione che si occupa del recupero di ragazzi con problemi di dipendenza e migranti, genitori insegnanti, ha tantissime passioni: dalla lettura alla collezione di fumetti, sin da quando era bambino, dall'informatica alle nuove tecnologie, dalla musica ai tatuaggi: «Quando scopro qualcosa che mi piace mi ci butto a pesce», dice Andrea che ha iniziato come giornalista professionista e oggi, grazie a una rivista bimestrale sui tatuaggi, coltiva ancora quel lato di sé.

In un periodo difficile ha lavorato anche come fornaio, dopo un apposito corso: «I soldi li devi portare a casa comunque, ovviamente avere 20 anni o 40 è molto diverso. Poi, quando ho trovato nuovi clienti e sono ripartito ho smesso di fare il panettiere. Però vorrei ricordare che bisogna essere sempre pronti a sacrificarsi e studiare in tutti i settori, nulla arriva gratuitamente e men che meno perché sei bello».

Di cosa si occupa esattamente e in cosa consiste il lavoro di un social media strategist?
«Lavoro principalmente con le PMI (la categoria delle microimprese, delle piccole e delle medie, è costituita da aziende che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro, ndr) e la politica, gestendo i canali social e impostando il calendario editoriale, mi occupo dei contenuti e delle strategie, sia quelle a pagamento che quelle da sviluppare attraverso risultati organici. Unitamente sono responsabile dell'advertising (pubblicità a livello imprenditoriale e organizzativo, ndr) e delle keyword (sono specifiche parole o frasi chiave digitate nei motori di ricerca dagli utenti per ricercare informazioni, ndr), in base al target (nel linguaggio commerciale, la fascia dei potenziali acquirenti di un prodotto, o dei fruitori di un messaggio pubblicitario, anche, i quantitativi da raggiungere nella vendita di un prodotto, ndr) che il cliente vuole intercettare».

Cosa s'intende per "risultati organici"?
«Avere numeri d'interazione interessanti senza dover per forza sponsorizzare il post o il tweet, anche se nell'ultimo periodo le cose sono cambiate con l'algoritmo, per esempio, di Facebook, che mi ha portato a rivedere la gestione delle pagine. Cerco sempre di alternare le due cose: risultati organici e sponsorizzazioni».

Quale è la giornata tipo di un social media strategist?
«Dipende dai clienti. Con le piccole e medie imprese la giornata è abbastanza tranquilla, all'inizio della settimana si fa il calendario delle iniziative e poi si declinano sui giorni. Con la politica è un procedere giorno per giorno, alle ultime elezioni politiche ho gestito i profili social di due candidati e lì diventa un lavoro più serrato: dalla rassegna stampa per decidere gli argomenti agli appuntamenti del candidato. L'attività social è cresciuta molto e non tutti sono in grado di gestirla, così si affidano a un professionista».

Come si diventa social media strategist?
«Studiando un sacco, aggiornandosi e tenendo d'occhio le tendenze dei social network, vedere come funzionano i nuovi algoritmi, così come le applicazioni che permettono di gestire più account contemporaneamente; è un continuo riadattarsi e studiare, è faticoso. Google Plus inizialmente sembrava utile per la SEO (Search Engine Optimization), ma oggi non lo usa più nessuno; credo che siamo in una fase di declino dei social e tra due, tre, anni anche Facebook potrebbe perdere l'importanza che ha adesso. Per questo avere un sito resta fondamentale, così come l'utilizzo della mail con il direct marketing, anche perché quello che funziona per uno non è detto che funzioni per l'altro».

Esiste un percorso di studi specifico?
«No, ne esistono molti e di vario genere, da seminari organizzati da istituti privati a veri e propri master universitari. L'importante è scegliere quello più adatto e anche qualificato, perché troppi s'inventano quello che non sono».

Qual è stato il suo percorso per diventare social media strategist?
«Ho iniziato come giornalista professionista in una casa editrice. Quando questa, nel 2010, ha chiuso mi sono guardato attorno. Da ragazzino ero appassionato di computer, avevo già iniziato a utilizzare Facebook, Twitter, Myspace e una volta diventato freelance ho iniziato a studiarmeli bene e a fare pratica insieme con qualche corso online e ricerche su Google. Nel lavoro, però, più che il curriculum è stato importante il passaparola; ancora oggi continuo attraverso la rete di conoscenze che mi sono costruito. Io sono diplomato in ragioneria e ho interrotto gli studi universitari per motivi economici, adesso il mio lavoro è 40% giornalistico e 60% dedicato ai social network. Trovo utilissimi i corsi di aggiornamento per giornalisti sui nuovi media».

Quali sono le competenze chiave di questa professione?
«Sapere scrivere come prima cosa, capire le esigenze del cliente, come funzionano i social network (un servizio informatico on line che permette la realizzazione di reti sociali virtuali, si tratta di siti Internet o tecnologie che consentono agli utenti di condividere contenuti testuali, immagini, video e audio e d'interagire tra loro, ndr), qual è il post che funziona meglio e come ottimizzarlo. Non c'è un segreto o un'unica cosa che ti apre la strada, sono tante insieme, continuando a studiare e aggiornarsi, restando informato su quello che accade in questo mondo professionale. No imparo e mi fermo, ma imparo e continuo, stando sempre sul pezzo senza mai distogliere l'attenzione da ciò che sto facendo».

Pesa di più l'esperienza o la formazione?
«Esperienza 60%, formazione 40%, l'esperienza è fondamentale».

Che tipo di problemi deve risolvere?
«I problemi maggiori riguardano il lato economico, perché molta gente sottovaluta questo lavoro: "Cosa vuoi che sia"; poi si affidano al cugino di turno e fanno macelli. È faticoso spiegare alle piccole e medie imprese che esistono strumenti che se lavorati professionalmente possono dare grandi risultati. Molti pensano che Facebook sia il social del cazzeggio, sbagliando, perché attraverso questo si possono ottenere ottimi risultati d'impresa».

In quali settori si trova lavoro?
«PMI e politica, soprattutto la politica, come nelle ultime elezioni, nelle quali molti si sono accorti che, oltre la televisione, che resta il media principale, il manifesto e il santino non hanno più senso, molto meglio lavorare con i social. Una volta c'era anche la musica, ma lì i soldi sono finiti».

Il social media strategist è un libero professionista o un dipendente?
«Libero professionista, purtroppo perché il salasso è sempre alto. Però per lavorare in questo settore, consulenze comprese (che devono essere pagate!) bisogna avere la partita IVA. Non credo che ci sia alcuno, in questo momento, che voglia propormi un contratto o un'assunzione, anche per la mia età. A questo proposito un nuovo social che sta dando buoni risultati è LinkedIn (un servizio web di rete sociale, gratuito, con servizi opzionali a pagamento, impiegato principalmente nello sviluppo di contatti professionali, tramite pubblicazione e diffusione del proprio curriculum vitae, e nella diffusione di contenuti specifici relativi il mercato del lavoro, ndr)».

Da quale tipo di azienda è maggiormente ricercata questa figura professionale?
«Non c'è una differenziazione, tutti vogliono essere online, bisogna trovare il canale social giusto per quel tipo di azienda. Esempio, con una ditta che produce foraggio per cavalli Facebook e YouTube vanno benissimo, altre hanno bisogno del direct marketing (attività di marketing mirata a particolari categorie di consumatori, ndr) con la mail o della newsletter (bollettino in italiano, è un aggiornamento informativo periodico che un'azienda, un ente o un gruppo di lavoro, invia ai propri clienti, utenti o membri, riguardo alle proprie attività, ndr). Un'azienda che fa semilavorati di metallo utilizza Instagram (è un social network che permette agli utenti di scattare foto, applicarvi filtri, e condividerle in Rete, ndr) o LinkedIn per trovare potenziali clienti».

Può essere svolto anche come telelavoro?
«Il cliente va incontrato la prima volta, quando ci si accorda, per conoscersi, poi tutto il resto si fa da remoto. Con i due candidati alle elezioni, per esempio, una volta conosciuti di persona ci siamo messaggiati tramite WhatsApp (è un'applicazione di messaggistica istantanea multipiattaforma, ndr) e visti su Skype (programma che consente di effettuare telefonate tramite Internet, ndr); solo il 10% del rapporto è stato fisico. Oggi ci sono tanti modi per azzerare le distanze senza perdere tempo».

In Italia siete in molti?
«Sì, un sacco s'improvvisano e bravi sono pochi, io non mi reputo tra quest'ultimi sia chiaro, anche se lavoro in questo settore da 7 anni. Bravi sono quelli che pubblicano libri, come Riccardo Scandellari e Veronica Gentili ».

Esiste un albo, ordine o associazione professionale?
«No».

A quali altre professioni potrebbe essere associata quella del social media strategist?
«Al marketer essenzialmente, una persona che si occupa di marketing e comunicazione».

Qual è la retribuzione media?
«Non esiste una retribuzione media precisa. Non esiste un listino, dipende da ciò che c'è da fare concretamente, da quali social si decide utilizzare, ecc. Un politico da seguire, senza la campagna elettorale, oscilla dai 1.500 ai 2.000 euro il mese, avendo più clienti il montante aumenta proporzionalmente. Fare i preventivi, per tutto quello che ho detto, è molto difficile, a volte ci vuole un giorno di lavoro per produrlo ed è la parte più noiosa».

Pensa che in futuro sarà una professione sempre più richiesta?
«Penso proprio di sì, anche se cambieranno gli strumenti».

Come evolverà questa professione e verso quali settori, contesti, lavorativi? «Non saprei, direi in quasi tutti i settori. Ecco, ci sarà sicuramente un'evoluzione del neuromarketing».

Cosa consiglia a una/un giovane diplomata/o che vuole fare questo lavoro?
«Trovare dei corsi adatti per imparare le basi, poi dei corsi universitari ad hoc, specializzandosi, infine fare delle prove, per vedere cosa funziona e cosa no. Ah, dimenticavo: imparare a scrivere in italiano. Non so quale sia il problema ma molti universitari non lo sanno fare, eppure è fondamentale. E poi occhio al nuovo regolamento sulla privacy».